A Monza finisce la corsa della famiglia Williams, ovvero: la fine del capitalismo familiare in F1

Di Maurizio Quarta
La decisione e l’annuncio erano nell’aria, e nella logica delle cose, e nell’atmosfera ovattata e silenziosa di Monza post COVID sono finalmente arrivati: la corsa sul circuito brianzolo sarà infatti l’ultima con la presenza di un membro della famiglia Williams al timone del team.
Finisce così un’avventura durata ben 43 anni (il team fondato da Sir Frank Williams fece la sua prima apparizione nel maggio del 1977 a Jarama, Spagna) e 739 Gran Premi, con 114 vittorie e 128 pole position, e un palmarés di sette titoli piloti e nove costruttori. Ciò che ne ha fatto uno dei top team della massima formula.

E ricordiamo che nel 2019 Sir Frank ha celebrato i suoi 50 anni come Team Principal in F1, che includono anche gli anni al timone di Frank Williams Racing Cars, ceduto nel 1976 a Walter Wolf.
Finisce la storia di un grande imprenditore, di fatto l’unico ad essere sopravvissuto in un mondo che negli anni è andato sempre più muovendosi verso i grandi budget, con team costituiti da centinaia di persone, e quindi, inevitabilmente e inesorabilmente, verso i grandi costruttori. Mano a mano, tutti i padri padroni della F1 eroica hanno passato la mano: Colin Chapman, Giancarlo Minardi, Eddie Jordan, Ron Dennis e lo stesso Enzo Ferrari.
L’unico ad essere riuscito a mantenere la proprietà del team da lui stesso fondato è stato Frank Williams, a dispetto anche del terribile incidente stradale che dal 1986 lo obbliga su una sedia a rotelle.
A differenza degli altri nomi citati, Williams ha optato per la strada della successione familiare, introducendo progressivamente in azienda la figlia Claire, dapprima per occuparsi della comunicazione e del marketing (ruolo che statisticamente in molte aziende familiari è appannaggio delle donne giovani di casa), per poi entrare in consiglio di amministrazione al posto del padre fino a prendere le redini del team, pur con la costante presenza del padre in carrozzina a tutti i GP.
E fino al 2017 la macchina ha continuato a funzionare e anche bene, con qualche acuto prestazionale (come ad esempio la partenza in prima file di Lance Stroll nel GP di Monza) e un lusinghiero quinto posto nel mondiale costruttori, replica del risultato dell’anno precedente con i due piloti, Massa e Stroll, rispettivamente 11mo e 12 nel mondiale piloti.
Anche dal punto di vista della strutturazione societaria, la società capogruppo, Williams Gran Prix Holding, si era mossa bene: infatti, nel 2011 ha dato vita alla Williams Advanced Engineering, di fatto polo tecnologico dedicato a sviluppare progetti di ricerca avanzati in diversi comparti industriali, dall’energia, alla difesa all’aerospaziale. Non a caso, la società è stato l’unico fornitore delle batterie nei primi anni di vita del mondiale di Formula E. Operazione strategicamente analoga a quanto fatto da McLaren e da altri team: si tratta infatti di attività che generano utili da reimpiegare per finanziare l’attività sportiva e che potrebbero essere strumentalmente utilizzate come entità formalmente indipendenti ai fini delle valutazioni inerenti il budget cap, il tanto discusso tetto di spesa che verrà introdotto a partire dal 2021.
Dopo il 2017 la società ha intrapreso una pericolosa china discendente. Sul fronte sportivo, con il team ultimo classificato tra i costruttori sia nel 2018 sia, con un solo punto all’attivo, nel 2019.
Sul fronte dei risultati economico-finanziari, con l’attività motoristica che nel 2019 ha visto diminuire fatturato e utili, con un aumento del debito, mentre esattamente il contrario faceva l’attività del polo tecnologico.
Qui si innesta una prima operazione straordinaria fortemente indicatrice dello stato di crisi in cui già versava il gruppo del gruppo: a fine anno, infatti, le quote di maggioranza della società tecnologica vengono vendute ad un investitore privato, EMK Capital. La spiegazione più plausibile: fare cassa da immettere nell’attività sportiva in forte difficoltà.

Per certi versi, la classica vendita dei gioielli di famiglia da parte dell’imprenditore che vuole a tutti i costi mantenere a galla la sua creatura e, soprattutto, che vuole continuare a gestirla.
A ciò si aggiungano le problematiche indotte da un passaggio generazionale probabilmente non del tutto riuscito: radiobox parlava di un team faticosamente incline a riconoscere l’autorità di Claire Williams, vista soprattutto come la figlia di suo padre piuttosto che come un manager professionista capace di traghettare il team fuori dalle acque agitate in cui già si trovava. Stesso problema che ragionevolmente poteva sussistere anche nei rapporti con terzi, possibili investitori e finanziatori.
In tal senso è emblematico quanto avvenuto con Lawrence Stroll, imprenditore e padre del pilota Lance: da molti veniva vista come la soluzione finanziaria e manageriale ottimale per il team. E’ però probabile che un personaggio come Stroll chiedesse un ruolo, sia come azionista sia gestionale, che la famiglia Williams non era disposta a dargli (e radiobox conferma!). Così si spiega la virata di Stroll sull’acquisto dell’agonizzante, ma dotata di un ottimo potenziale, Force India, ribattezzata Racing Point.

Lì si è visto come opera Stroll e come presumibilmente avrebbe voluto operare in Williams: un attento investitore che si attende un ritorno dall’investimento anche attraverso una gestione fortemente manageriale dell’attività.
Il problema della Williams sembrava essere quello classico dell’imprenditore che è il primo a non riconoscere la crisi in cui è precipitata la sua azienda: è anzi convinto che l’immissione di denaro fresco gli consentirà di uscirne indenne e di mantenere il controllo della sua creatura.
Il lockdown ha fatto il resto, rendendo di fatto insostenibile la situazione debitoria del gruppo, con prospettive del tutto fosche su una possibile ripresa.
Tutto è quindi proceduto a tappe forzate: si parte con l’annuncio di maggio, fatto dalla stessa Claire Williams, del lancio di una revisione strategica delle attività del gruppo, che include anche di discussioni esplorative con potenziali investitori con l’avvio di un processo formale di vendita, per definire e valutare l’intera gamma delle opzioni strategiche disponibili. Nel frattempo, ad agosto, il Team firma il nuovo patto della Concordia, che offre la possibilità di presentare ad un potenziale acquirente un quadro normativo di riferimento certo per i prossimi anni.
A fine agosto l’annuncio della vendita di Williams Grand Prix Engineering Limited (il braccio operativo del gruppo che gestisce il team di F1) a BCE Limited, un fondo gestito dalla società americana di investimenti Dorilton Capital; valore della transazione: 152 million, che includono il pagamento dei debiti pregressi (40 milioni). Dorilton Capital ha un track record di operazioni di successo in altri settori e un approccio che dovrebbe consentirle di riportare all’utile il gruppo, capitalizzando su un marchio che di per sé ha ancora un elevatissimo valore per il mercato.
Nella prassi, quando un fondo compie una simile operazione con un’azienda a forte imprinting familiare e personale, quasi sempre all’imprenditore viene chiesto di abbandonare qualsiasi ruolo operativo se non proprio di lasciare l’azienda.
Che è esattamente quanto ci si poteva aspettare viste le premesse sopra descritte e quanto è successo nella prima giornata del weekend monzese con una serie di annunci a raffica, incluso quello di presentazione del nuovo consiglio di amministrazione che gestirà le attività del Team da ora in poi. Il nuovo consiglio sarà composto da Matthew Savage e Darren Fultz di Dorilton Capital e da James Matthews di Eden Rock Group (ex pilota in F3 e Formula Renault e cognato della Duchessa di Cambridge, Kate Middleton, avendone sposato nel 2017 la sorella Pippa).
C’è invece attesa per conoscere il nome del nuovo team principal.