Un italiano al timone della F1: Stefano Domenicali

Di Maurizio Quarta

Il 2020 passerà agli annali della F1, oltre che come l’anno della gestione in emergenza COVID, anche come l’anno degli annunci stra-anticipati: Sebastian Vettel (uscita da Ferrari, entrata in Aston Martin), Carlos Sainz (entrata in Ferrari), Daniel Ricciardo (entrata in McLaren), Fernando Alonso (ritorno in Renault), ingresso del marchio Alpine, fino ad arrivare a quello forse più “pesante”, anche se apparentemente meno visibile e di impatto sul grande pubblico, ovvero il rientro di Stefano Domenicali in F1 dal portone principale.

Dopo numerose anticipazioni e indiscrezioni stampa nei giorni precedenti il GP di Russia, o forse anche proprio a causa di esse, sia Liberty Media, che della F1 ha la proprietà, sia Lamborghini, che Stefano Domenicali tuttora guida, hanno dato l’annuncio ufficiale: dal 1 gennaio 2021 Stefano Domenicali assumerà il ruolo di Presidente e CEO di Formula 1, mentre Chase Carey, l’attuale Chairman e CEO, passerà al ruolo di Presidente non esecutivo.

Indubbiamente il lavoro di Carey è stato notevole e ha prodotto significativi risultati, come evidenziato dal Presidente di Liberty Media Greg Maffei nel messaggio di commiato: tra gli altri, il tetto ai budget di spesa dei team (introdotto per la prima volta in assoluto), un rinnovato patto della Concordia più equilibrato che in passato, nuovi regolamenti tecnici e, cosa che a marzo pareva quasi impossibile, la realizzazione di un campionato del mondo a pieno titolo in epoca di pandemia.

 

Ho conosciuto Stefano Domenicali in occasione della sua presentazione ufficiale come Team Principal di Ferrari nel 2008 (all’evento di lancio della vettura di quell’anno), quando venne introdotto da Luca Montezemolo come un manager giovane e dal grande potenziale, con alle spalle la “chioccia” Jean Todt per le evenienze difficili in un mondo complicato, complesso e “scivoloso” come la F1, ma anche come la stessa Ferrari.

L’ho di nuovo intervistato in epoca molto più recente nella fase di pieno consolidamento del lavoro iniziato in Lamborghini nel 2016. E’ sempre stato una persona disponibile e aperta al dialogo: paradossalmente l’ho trovato molto più rilassato in Lamborghini rispetto a quando era in Ferrari, nonostante la sostanziale differenza dimensionale tra le due realtà. In Ferrari, specie negli ultimi anni, il livello di stress, visto da fuori, appare spesso davvero eccessivo e può contribuire a spiegare parzialmente la difficoltà attuale nel conseguire risultati.

Ma al di là delle indubbie qualità personali e manageriali di Domenicali, abbiamo cercato di capire quali possano essere le logiche sottostanti ad una simile mossa.

Partiamo da Chase Carey: una laurea in economia conseguita alla Colgate University che guarda caso ha sede ad Hamilton (predestinazione?), un MBA ad Harvard, e una brillante carriera nel mondo televisivo principalmente americano (Fox, DirecTV, News Corp).

Personaggio sicuramente di gran valore, ma a rigor di logica difficilmente compatibile in termini di valori, comportamenti e atteggiamenti con un mondo europeo fatto principalmente di europei, qual è la F1. In più proveniente dal mondo dell’entertainment, in mezzo ad un mondo di ingegneri, tecnici e uomini (poche ancora le donne!) da corsa.

Ricordo un commento, fattomi off the record, da un noto personaggio di un major team: “Chase is  a fantastic guy, but it’s hard for him to really blend with the tribe … too much american”.

Non dobbiamo infatti dimenticare che, sociologicamente parlando, il mondo così globale della F1 è in realtà una sorta di grande villaggio, una tribù, dove tutti conoscono tutti e dove in fin dei conti ci si muove da una “famiglia” all’altra.

Il mondo delle corse americane è davvero un altro mondo, dal quale ci sono però aspetti interessanti da mutuare.

Ci diceva in un’intervista Andrea Pontremoli, AD di Dallara, che ha sede anche ad Indianapolis ed è fornitore unico delle vetture della formula USA Indy Car: “Mi aspetto molto dalla cultura americana dello spettacolo, di cui sicuramente il nuovo azionista sarà portatore. Al di là dei grandi risultati finanziari ottenuti, la filosofia e l’impostazione di Bernie Ecclestone hanno finito per allontanare molti fan dalla F1. E’ soprattutto un problema di marketing; prendiamo l’esempio della Formula E: si tratta di un prodotto “povero”, ma molto ben gestito”.

Su questa linea anche il grande sponsor di un major team: “L’aspettativa è per un ambiente molto più aperto al mondo e capace di attrarre soprattutto fasce di pubblico più giovane: esattamente l’opposto di un mondo troppo chiuso, simbolizzato dal “camion nero da cui tutti aspettavano di veder uscire Mister BE”.

Sul lato americano è invece un po’ scettico Federico Bendinelli, profondo conoscitore dell’epoca Ecclestone, con cui di fatto negoziava per il GP in Italia, e amico di Stefano Domenicali, secondo cui “con il subentro di Liberty Media e in particolare quello di Chase Carey a Bernie Ecclestone, si è verificata nella gestione una ben diversa impronta sia culturale (a cominciare dalle ipocrite manifestazioni del politically correct tipiche della cultura statunitense) che organizzativa, scaturita in gran parte dal fatto che mentre Mr BE, oltre ad uno straordinario uomo d’affari, è sempre stato un grande uomo di  sport – ha corso sia in moto che in auto, prima di diventare il proprietario della Brabham e creare la F.O.C.A. – Carey viene dal mondo non dello sport ma dello spettacolo, televisivo e cinematografico”.

Tanti gli spunti e le sfide per il nuovo CEO, provenienti dagli appassionati e dalla stampa: su tutti aumentare la spettacolarità dell’attuale F1 e recuperare pubblico, in generale su circuiti e in particolare nella fascia 17-35 in TV e sui nuovi media.

Molte le strade per arrivarci: eliminare l’eccesso inutile di tecnologia e strutture di controllo ridondanti e troppo onerose; aumentare il numero di case costruttrici e il numero di team in gara; ridurre i costi in generale (qui molto è già stato fatto, anche se bisognerà stare attenti all’abilità dei team più grandi di dirottare le spese di F1 su diversi rivoli interni) e l’eccesso di regole poco chiare al pubblico e che rendono poco lineare lo spettacolo; creare
soprattutto una mentalità più aperta e disponibile ad offrirsi al pubblico.

 

Ciò detto, torniamo alle motivazioni della scelta. Sono diversi gli elementi che inducono a pensare che Stefano Domenicali possa portare a compimento l’opera iniziata da Carey e nello stesso tempo vincere alcune delle sfide più sopra esposte.

 

In primis, è nella logica delle acquisizioni realizzate in paesi esteri, cercare, dopo un periodo di studio e assestamento guidato da un manager della nazionalità dell’acquirente, una figura locale per gestire al meglio la nuova realtà.

E’ un “locale”, un europeo, pur se con una forte connotazione e respiro di natura mondiale.

Per dirla con Bendinelli: “con lui si torna in Europa e nello sport motoristico. Nato ad Imola, proprio nel suo autodromo “Enzo e Dino Ferrari”, ha cominciato a lavorare da studente universitario, all’inizio degli anni ’80, in occasione dei Gran Premi di San Marino di F1, per poi entrare subito dopo la laurea in Ferrari ed avviare la strepitosa carriera che lo ha portato al ruolo di Team Principal.”

Conosce molto bene dall’interno il mondo della F1 nei suoi risvolti anche politici, dato che  ricopre attualmente il ruolo di presidente della Commissione Monoposto nel FIA World Motor Sport Council, così come le dinamiche di gestione di un team grande e complesso.

E’ sensibile però anche alle modalità e alle problematiche di gestione di team più piccoli e in campionati estremamente competitivi, dal Blancpain al Lamborghini Supertrofeo.

 

E’ stato lontano abbastanza a lungo dal mondo della F1 (dal 2014) per poter essere considerato “al di sopra di ogni sospetto” (come esplicitamente dichiarato anche da Mattia Binotto di Ferrari), cosa che sarebbe stato un problema per la possibile aspirazione e candidatura al ruolo da parte di Toto Wolff, che ha peraltro espresso pubblicamente e sportivamente il proprio apprezzamento per Domenicali.

Non ultimo, è un personaggio tendenzialmente benvoluto e rispettato da tutti.

Oltre a ciò, porta con sé la maturità manageriale derivante dall’esperienza di successo in Lamborghini, che è una vera azienda industriale dai numeri sempre più significativi e impegnativi, molto più complessa della gestione di un team di F1, sia pur con il nome Ferrari.

E i numeri sono un fattore in delicato equilibrio in questo momento in Formula 1: ricordiamo che la società è quotata al listino americano e che negli ultimi mesi ha visto un forte tracollo del valore dei suoi titoli (fino al 49%, poi parzialmente recuperato) e che sui conti pesa sempre come un macigno l’onere dei debiti netti pregressi, “acquisiti” dal fondo CVC precedente proprietario del circus e che ammontano a circa 2,5 miliardi di US$ (dato al mese di marzo 2020).

Come Lamborghini, ha un occhio particolare per il mondo dei giovani: nella sua intervista,  ci aveva chiaramente parlato di vetture “GIOVANI, ESCLUSIVE, ASPIRAZIONALI … per una clientela che avverte forte il bisogno di differenziarsi, di non omologarsi. Il nostro è un cliente giovane, (30-45 anni con particolari punte nel Far East)”.

Infine, dall’esperienza nell’ambito del MUNER, il programma post universitario che vede coinvolte le quattro università dell’Emilia Romagna, e le otto case motoristiche della Motor Valley,

sicuramente porterà con sé il concetto di trasferire tecnologia e applicazioni “dalla pista alla strada”, nonché la capacità di far lavorare insieme “aziende tra di loro anche fieramente concorrrenti (ndr. Ferrari e Lamborghini su tutte), ma capaci di fare sistema e di superare il malvezzo tipicamente italiano delle lotte intestine tra Guelfi e Ghibellini”.

 

Non ultimo: riprendendo le parole di Luca Montezemolo del 2008, è simpatico pensare che  la sua “chioccia” storica potrebbe sempre tornare utile …

 

Foto:  Maurizio Quarta